domenica 15 marzo 2015

Safari street art

È domenica mattina, giornata magnifica per un safari. Il territorio di caccia si estende per tutta Cagliari, e con il cellulare carico nella borsetta esco a catturare le mie prede. Giro per le strade con occhi attenti e vigili, ma da brava cacciatrice ho già individuato qualche tana. La prima si trova in via San Paolo, lo so per certo. Avevo individuato il magnifico esemplare per caso, durante un giro di lavoro.
Sulla strada però, in via Sant'Avendrace il mio sguardo si ferma ad osservare l'immagine pallida e sognante di una luna, o forse un viso di donna. Accosto, mi apposto e scatto: la prima preda è nel sacco! Proseguo sulla strada della vittima prescelta, incrocio la chiasso domenica dei mercatini, le bancarelle improvvisate, oggetti appartenuti a qualcuno, imprigionati per anni in umide cantine e finalmente liberati. Oggetti, dipinti, libri: storie sommerse e dimenticate, forse per sempre. Ecco dove andrò domenica prossima!
Tornando alla mia caccia, dopo un percorso accidentato fatto di ogni sorta di oggetto in vendita, imbocco la curva di via San Paolo, ed al termine di essa mi ritrovo davanti ad uno spettacolo commovente.
Mi si para davanti agli occhi l'immagine di una donna islamica, con capo, viso (le si intravedono solo gli occhi) e corpo coperti, che abbraccia come a proteggerla una ragazza completamente nuda, con gli occhi smarriti ed ingenui ed i capelli sciolti sulle spalle. La donna islamica ha uno sguardo severo che punta verso lo spettatore, quasi volesse dire:" Ma non ti vergogni ad approfittare di lei?". Sono commossa, e riflettere sulla condizione della donna l'occidente "libero" viene da se. Credo, anzi, sono certa di essere davanti all'era di street art più significativa che abbia mai visto.
Soddisfatta proseguo il mio safari a Cagliari, mi rimetto in macchina e percorro via Po. Sulla destra scorgo con la coda dell'occhio l'immagine dietro dei cassonetti. Accosto, mi infilo fra un bidone e l'altro e scatto.
 

 

 Decido di andare verso il centro, e nel percorso, passando per via Mameli, mi imbatto in alcuni inaspettati e nascosti angoli colorati della città.


 Arrivo all'altezza dei giardini pubblici, e imbocco la strada che mi porterà poi verso via La Marmora, dove comincia la mia avventura in una giungla colorata e ricca di sorprese.
Parcheggio, e passeggio con il naso all'aria con il sole sul viso. Una scimmietta dall'alto sembra troppo occupata con il suo i-phone per darmi il benvenuto, così proseguo e la lascio sola con i suoi impegni.
Una vetrina colorata mi richiama a se, e la frase che vedo scritta su un biglietto all'ingresso mi fa pensare a quanta verità e saggezza può restare confinata in poche righe scritte con una biro su un pezzetto di carta. Sono davanti all'ingresso dello studio del maestro Piero Ligas, che, durante una notte d'estate, in occasione di una rassegna d'arte durante la quale gli studi dei pittori rimasero aperti al pubblico, ebbi il piacere di conoscere.
 
La caccia è aperta, ed io sono curiosa di scoprire questi posti che raramente riesco a frequentare. Faccio per girare l'angolo, e sulla destra scorgo la sede del liceo artistico: ottimo segno. Entro in via San Giuseppe, che da sola merita tutto il viaggio. Ci sono pesci con dedica, "A Carlo", poesie affisse sul muro, un battipanni decorato, piante che abitano la strada sopportando pazientemente la presenza umana, e la sede del laboratorio fotografico "S'umbra". Uno strano personaggio col cappello mi augura "buon duemila e credici". Lo ringrazio, saluto e me ne vado.




















 
Un piatto di pasta impresso sul muro mi ricorda che è quasi ora di pranzo. Sarà meglio che torni verso casa. Torno alla macchina e percorro via Università, ma continuo con la coda dell'occhio a guardarmi intorno. Ora la preda, l'arte nascosta sui muri della mia città, da preda è diventata predatrice: mi segue, mi bracca, devo accostare la macchina.
Entrando in via Spano mi capita di notare due di queste opere. Il tempo ed i fenomeni atmosferici ce le stanno portando via, e non posso fare a meno di pensare che questa, più di altre, è una forma d'arte destinata rapidamente a deperire se non salvaguardata e manutenuta. Poi mi viene in mente che "ufficialmente dicesi vandalismo". Mi rimetto in macchina. 
 
Arrivo sino alla via che costeggia il magistero, e la mia preda mi sta ancora alle calcagna.

Supero via La Vega, poi via san Vincenzo, e lei è ancora li che mi fissa. Mi fermo dove posso, cerco dei punti dove possa accostare senza farmi uccidere e scatto.


Riprendo la corsa, vado sempre più veloce,  la vedo in via Cornalias. Mi fermo per un'ultima volta.



Imbocco la rotonda, entro in via Giotto: forse l'ho semitata!

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