sabato 28 marzo 2015

Un caffè con l'uomo invisibile: Manu Invisible

Incontro Manu Invisible davanti al locale nel quale sta preparando un lavoro, in uno dei quartieri più popolari della nostra città, culla della Street art dai tempi in cui per i più lo Street artist era un teppista e una tag era chiamata "pasticcio sul muro". La prima volta che vidi il nome di Manu fu su un adesivo in macchina di mia sorella. Le chiesi: "ma chi è questo Manu Invisible?"- e lei "Un mio amico che fa graffiti: è un mostro!". Aveva ragione!
Arrivo sul posto, e intuisco sia lui dalla scientifica constatazione che, di fronte al civico indicato, c'è solo lui. L'odore acre della vernice mi da il benvenuto, nonostante io sia a parecchi passi dall'ingresso. Ci salutiamo, mi presento.
L'idea migliore è quella di andare a cercarci un posto dove prendere un caffè, ma ne io ne lui siamo pratici della zona. Mi viene in mente che poco distante avrei trovato il salone dove lavora una mia amica: certamente lei saprà dove trovare un buon caffè in zona. Così mi dirigo verso il negozio, e nel frattempo ne approfitto per fare qualche domanda a Manu. So che il lavoro al quale l'ho strappato pochi minuti prima gli è stato commissionato, e ne approfitto per chiedergli se si trovi o meno a suo agio con le opere su commissione.
"Mi trovo bene" - mi risponde lui" anche perché solitamente mi si lascia carta bianca per la realizzazione. E' inevitabile che in questo tipo di composizioni io debba seguire un tema prestabilito, ma in realtà lo sviluppo di questo tema può essere realizzato in maniera così ampia da non costituire quasi per nulla una costrizione"
"Ma non si rischia, con opere su commissione, di snaturare il senso della Street art?"
"Il punto è un altro, e forse ancora più netto. Tutto ciò che si realizza su commissione o dietro autorizzazione delle autorità competenti non può dirsi autenticamente Street art. La Street art, o per meglio dire tutto quell'universo che le gravita attorno, vive e trova collocazione solamente nella dimensione dell'illegalità, dell'abusivismo.
''Petali d'apparenza'' - Pittura al quarzo e spray
su parete - Orosei - 2009
 Il muralismo ha una lunga storia a se alle spalle, e la Sardegna in particolare conosce delle espressioni assolutamente degne di nota di quest'arte, opere per la maggior parte legate al folklore che esprimono un forte attaccamento al mondo rurale e alle attività tradizionali, permeate di sentimenti d'isolamento e di nostalgia. Questa lunga storia nasce  dalla San Sperate ripensata da Giuseppe (Pinuccio) Sciola già a partire dal 1968, insignita del titolo di "paese-museo" per essere stato il primo ad aprirsi al Muralismo. Qui comincia la ricerca grafica di Sciola, i collages tri-dimensionali con tronchi d' albero dipinti con colori vivi segnano il passo di una sperimentazione artistica in continua evoluzione. Segue Orgosolo, la quale vede sorgere  i primi murales, opere del gruppo anarchico milanese Dyonisos, nel 1969, e vede la sua fase di produzione più prolifica nel 1975. I temi oggetto dei murales di questo paesino della Barbagia ne sottolineano il suo spirito  tradizionalmente contestatario : rivoluzione sarda ed internazionale, banditismo d'onore, pacifismo, socialismo, lotta contro le ingiustizie, la corruzione e la povertà. Tutto ciò che potremmo più in generale attribuire alla contestazione politico-sociale.
''Campurella'' -Pittura al quarzo e spray su parete - San sperate - (Feat. Frode) - 2014
Negli anni che seguiranno altri paesi della Sardegna si renderanno protagonisti della storia del muralismo, nello specifico Villamar a partire dal 1976, con le opere di due esiliati cileni Alan Jofre e Uriel Parvex, per continuare nel 1977 in numerosi paesi della Sardegna, grazie al lavoro del "Gruppo Arte" guidato da Antonio Cotza, agli artisti di Serramanna ed alla Brigata Muralista Salvator Alliende della Marmilla. Nel tempo la ragione e l'obiettivo ultimo degli artisti che hanno prodotto questa tipologia di opere in Sardegna è spesso mutata: se i primi Murales sardi contestano con
violenza l'ingiustizia sociale e lo sfruttamento politico, quelli più recenti soddisfano ormai più spesso l'estetismo urbano e la curiosità turistica.".
Arriviamo al salone della mia amica che, scoprirò solo ora, essere anche amica sua. Lei, senza che io abbia il tempo di formulare la domanda, ci invita ad accomodarci e a proseguire l'intervista da lei, offrendoci il caffè ed ogni genere di comfort: meglio di così!
''Personage'' - Light Painting 20x20 cm
Proseguiamo la chiacchierata, e Manu mi spiega il suo disagio nel venire etichettato una volta come writer, piuttosto che non come Street artist, graffitaro, muralista e via discorrendo. Le etichette non gli si confanno, in quanto artista poliedrico e sempre in continua evoluzione e sperimentazione.
"Il mio percorso artistico si snoda in differenti e sempre mutevoli sperimentazioni. Non seguo delle
'fasi', non produco a cicli alterni solo volti, o solamente scritte, o figure astratte, ma sperimento tecniche e rappresentazioni sempre nuove ed in evoluzione. Esattamente come Gustav Klimt, il quale si dedicava ad architetture, paesaggi e figure umane senza soluzione di continuità."
"So che recentemente hai collaborato con l'università ed hai partecipato ad un'esposizione a palazzo Vice Regio. Come hai trovato queste esperienze e come pensi che aiutino o danneggino la Street art le istituzioni che aprono ad essa le porte."
''Dobermann'' - Terracotta e gommalacca scultura 40x30x15 cm
"L'esperienza all'università è stata interessante, ma non ho praticamente aperto bocca, nonostante io non sia affatto in soggezione quando mi trovo a parlare della mia produzione artistica. Mi mettono a disagio i contesti 'pubblici' nei quali mi devo esporre in modo troppo eccessivo per le mie corde. In queste occasioni mi presento quasi sempre a volto coperto, un po' perché ci tengo a proteggere la mia privacy, un po' per evitare qualunque problema legale nel quale potrei incorrere, essendo già passato per due denunce, ed in ultima istanza perché trovo certe manifestazioni del pubblico che mi trovo davanti davvero eccessive, vedi i selfie che avrebbero voluto facessi. Per quanto riguarda l'esperienza a palazzo Vice Regio, li mi sono limitato a proporre alcune delle mie opere realizzate con lo spray. L'esposizione è stata realizzata con le migliori intenzioni da una persona a me molto cara che nutre un genuino interesse e premura nella salvaguardia e divulgazione della cultura urbana, cosa che però non ha impedito inevitabilmente la snaturalizzazione del concetto stesso di Street art."
"Si può dire che l'esposizione poteva essere letta come una sorta di 'catalogo' delle opere di cui in realtà lo spettatore può e deve fruire nello spazio urbano?"
"Si, si può interpretare in questo modo. D'altra parte, se anche l'idea stessa di Street art in un contesto museale viene snaturata, è pur vero che queste iniziative hanno il duplice scopo di dare visibilità e quindi possibilità di emergere agli artisti, e dare l'opportunità al grande pubblico di informarsi circa questa cultura spesso poco conosciuta nei suoi aspetti più autentici, e mal interpretata ed illustrata  pure peggio dai media."
Manu mi porta a questo punto, come un moderno Virgilio, all'interno di questo confuso e macroscopico mondo. Mi prende per mano e mi porta in un viaggio che parte dalle prime opere degli anni sessanta, che il tempo e l'incuria hanno pressoché portato via totalmente. Mi racconta di come una gallerista francese abbia pensato di rimuovere una porzione di muro sul quale vi erano dei graffiti oramai storici, e di portarla all'interno di un museo. Mi torna in mente una notizia simile a proposito delle opere di Banksy, e lui me ne da conferma, aggiungendo un'informazione in più: si dice che più di un'opera di questo artista non sia stata realizzata abusivamente, ma sia stata invece espressamente autorizzata.
''Batmanu'' - Pittura al quarzo e spray su muro
Milano 2010
Ad un tratto Manu si interrompe, e mi chiede: "Ti sto asciugando, vero?"- utilizzando, mi spiega, una tipica espressione imparata durante gli anni milanesi. Non posso fare a meno di pensare a quanto inappropriata sia questa espressione, se accostata alla nostra conversazione feconda, ricca, generosa.
Manu prosegue, e mi spiega che ciò che noi conosciamo con etichette diverse è in realtà una stessa luce che, proiettata attraverso il prisma dei critici d'arte, viene scissa in sfumature e colori diversi per cercare di spiegare a chi la guarda da cosa è composta. Mi spiega come solitamente venga inquadrato come writer colui che riproduce negli spazi urbani, in modo più o meno elaborato, la sua tag, il nome con il quale viene riconosciuto nell'ambiante. Generalmente poi viene classificato come Street artist colui che riproduce negli spazi urbani figure astratte, ritratti o paesaggi. I primi nascono nell'ambiente della cultura hip hop a partire dagli anni 70 (la quale in Italia si svilupperà per lo più negli anni 90), ma conoscono diverse generazioni di artisti, ognuna con le sue peculiarità, obbiettivi e valori.
Chiedo:
"C'è tra di voi una sorta di tacito accordo che eviti che uno di voi disegni o scriva sull'opera di qualcun altro?"
"In realtà si, esiste qualcosa del genere. Nella maggior parte dei casi si tende al rispetto del lavoro altrui, e questo era sentito in modo estremo specialmente per la generazione precedente alla mia. In un quartiere come questo, se ti poggiavi spalle al muro e mettevi un piede sulla creazione di uno di questi artisti, sicuramente venivi picchiato. Io guardavo questi personaggi con estremo rispetto ed ammirazione: erano fonte di ispirazione ed apprendimento per me. Non mi sarei mai sognato di intervenire su un loro lavoro. Ma per le nuove generazioni non è più cosi. E' possibile che tu veda non tanto un disegno , quanto una tag sopra un lavoro di un altro artista. A volte lo si fa per invidia, altre volte per rivendicare uno spazio urbano come proprio. In generale la Street art interviene negli spazi urbani in preda al degrado, abbandonati o non curati, e li rende migliori, esteticamente e culturalmente, facendone letteralmente dei musei a cielo aperto. Esiste poi una forma di intervento artistico sul paesaggio, che viene inquadrato come land art: questo ha un impatto sul paesaggio, ne modifica tratti e caratteristiche. E' un territorio ancora inesplorato, a proposito del quale in molti nutrono delle riserve."
Squilla un telefono: è il mio. Questo mi ricorda che è tempo per me di lasciare il mio Virgilio, e ritornare alla mia vita di sempre, al lavoro, agli impegni: a riveder le stelle!

Marta Banditelli
"Nocturna" - Vernice al quarzo su centrale elettrica - SS 125 - Quartucciu - 2014

martedì 24 marzo 2015

Storia di un sogno infranto

Scorcio della Ratzenstadt
Vienna
Questa è la storia di un ragazzo come tanti. Come tanti ragazzi custodisce in se un grande sogno, una vera e propria aspirazione: diventare un grande artista.
Era figlio di un impiegato statale e di una casalinga, cresciuto in un ambiente borghese fra amici benestanti. Suo padre, uomo piuttosto pratico, s'era fatto da se, e dalla campagna era riuscito a trovare in città una discreta posizione economica della quale godeva tutta la famiglia. Da uomo pratico aveva scelto per il figlio una scuola tecnica, ma il ragazzo era affatto interessato a quelle materie aride e sterili: le buone letture, il disegno e la pittura erano la sua vera passione.
Una malattia rende incompatibile la frequentazione della scuola al ragazzo, ed egli, sentendosi profondamente graziato dal destino, grazie all'insistenza della madre abbandona la scuola che il padre scelse per lui.
La morte precoce del padre getta la famiglia in una condizione di scarsa disponibilità economica, e di seguito la dipartita della madre segna la definitiva esclusione del ragazzo dalla vita agiata e comoda che conduceva in famiglia: ha solo 16 anni. Ora è solo, orfano, ed il sussidio per gli orfani non gli consente di sfamarsi adeguatamente. Una cosa è chiara al giovane: non sarebbe diventato a nessun costo un impiegato come suo padre!
Armato di rotoli di disegni e sconfinata determinazione si reca a Vienna, la culla dell'arte nordeuropea. La strada da percorrere passa per l'accademia di belle arti, ed il giovane, appena diciottenne, tenta l'esame d'ingresso. Sicuro del suo talento presenta i suoi disegni, per lo più dedicati a paesaggi architettonici che da sempre lo affascinano, e fiducioso attende il verdetto della commissione. Un fulmine a ciel sereno, una doccia fredda riporta il ragazzo alla realtà.
"Prova di disegno insufficiente: non ammesso"
Palazzo del parlamento e Ringstrasse
Vienna
Chiedendo spiegazione dello spietato giudizio al Rettore, la risposta fu molto chiara: il candidato non era affatto portato per la pittura, e non vi era alcuna prospettiva per lui all'accademia, ma vi era la concreta prospettiva di una ammissione all'accademia di architettura, per la quale il candidato era sicuramente portato, ed anzi, era strano che fino a quel momento non avesse ancora frequentato un corso similare dato il suo naturale talento.
Ritorna per il giovane lo spettro della scuola tecnica, quegli studi cosi pratici che con tanta risolutezza aveva rifiutato. Non avendo completato gli studi non può nemmeno accedere all'accademia di architettura, ed ora si ritrova a doversi guadagnare il pane con qualche stratagemma. Tutto ciò che sa fare è disegnare, e comincia a realizzare di poter vendere qualcuno dei suoi disegni. Comincia a produrre cartoline che vende con l'aiuto di un vagabondo conosciuto in un dormitorio che frequentavano entrambi. Il suo lavoro non è costante, e a mala pena riesce a sbarcare il lunario. In seguito collabora con gli artigiani, ed in particolare rifornisce i corniciai, che vendono i loro manufatti corredati di un suo dipinto, ed alcuni mobilieri, i quali producono una tipologia particolare di divani corredati di un dipinto sullo schienale. La sua tecnica non è affatto influenzata dalle correnti artistiche del momento, anzi, mantiene uno stile sempre molto classico e sobrio, nei paesaggi come nelle riproduzioni di architetture, e questo contribuisce a rendere i suoi lavori statici e di nessuna rilevanza artistica.
Nei momenti liberi il giovane studia, legge libri e di tanto in tanto, con enormi sacrifici, va all'Opera. La fame è la sua compagna inseparabile, che gli ricorda che ogni conquista presuppone una grossa quota di sofferenza, e che spesso, per quanta forza e tenacia si metta in gioco nell'inseguire un sogno, questo inesorabilmente scivola via tra le dita a causa di fattori che nulla hanno a che vedere con la determinazione di chi lo persegue.
L'arte accompagnerà comunque tutta la vita del giovane che, diventato oramai uomo, seguirà un percorso che lo porterà su ben altri lidi.
Questa è la storia di un aspirante artista, rimasto tale non per mancanza di tenacia o eccessiva insicurezza, ma per una totale mancanza di talento ed estro creativo.
Questa è la storia di Adolf Hitler.

Marta Banditelli



lunedì 23 marzo 2015

« In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico »: La migliore offerta.


In ogni finzione, per quanto ben architettata, esiste sempre una porzione di verità.
Lo può constatare un antiquario, analizzando per esempio la maestria con la quale viene riprodotto un falso. Ma una minuzia, un piccolo, piccolissimo particolare frutto del desiderio del falsario di apporre una minuscola firma sulla sua riproduzione, tradisce la vera identità dell'autore, svelando l'inganno.
Un esperto, solo e soltanto un'autorità in materia può stabilire se ciò che abbiamo di fronte è un dipinto autentico o una semplice riproduzione: a lui dobbiamo affidare il giudizio finale.
Il giudizio dell'esperto non viene messo in discussione: la sua autorevolezza in materia sospende ogni minima diffidenza nei suoi riguardi. E' così quando ci sia affida ad un medico per una diagnosi, ed allo stesso modo ci si affida ad ogni esperto in uno specifico settore, compreso quello sentimentale.
E' così che Virgil Oldman, richiestissimo battitore d'aste, si affida in occasione della sua prima vera storia d'amore, all'esperto di cuore Robert, nonché artigiano al quale si affida per alcuni restauri particolari, il quale ha la metà dei suoi anni e tantissima esperienza in più in fatto di donne.
Virgil è un orfano, che cresce in un istituto nel quale le suore, per punirlo delle sue marachelle, spesso e volentieri lo spedivano a lavorare dal restauratore al quale si affidavano per i lavori. Impara tutto da lui, compreso l'amore per le opere d'arte e tutti i trucchi del mestiere, diventando ben presto una vera autorità in materia. Dedica tutta la sua vita alle opere d'arte, e le uniche donne delle quali si circonda sono quelle impresse sulle tele che riesce a collezionare organizzando vere e proprie truffe durante le sue aste con la complicità dell'amico di una vita Billy.
Virgil è un uomo anziano che incontra l'amore di una ragazza giovanissima in circostanze a dir poco straordinarie. Lei è una ricca ereditiera che, per espressa volontà del defunto padre, affida solo e soltanto a Virgil il compito di inventariare ogni bene di valore contenuto nella villa di famiglia nella quale lei ancora risiede. La ragazza appare immediatamente sfuggente, e con rocambolesche scuse tenta in ogni modo di non incontrare di persona Virgil, il quale, dapprima indispettito dal suo comportamento e poi fatalmente attratto dalla figura misteriosa ed eterea della ragazza, si lascia trascinare in un turbinio d'amore e ossessione per lei.
E se d'un tratto ci si accorgesse che i luminari ai quali ci siamo affidati in realtà non sono altro che truffatori? E se l'amore stesso fosse una truffa, un arte da imparare a danno del prossimo?
Per avere risposta a tutti questi quesiti non resta che abbandonarsi alla visione di "la migliore offerta", film del 2013, regia, soggetto e sceneggiatura di Giuseppe Tornatore, musiche di Ennio Morricone. Fotografia, produzione, scenografia costumi e montaggio parlano italiano: un film spettacolare in ogni suo particolare.
Viva l'Italia.

domenica 22 marzo 2015

Virginia Chessa
Titolo:bisogna avere il caos dentro di se per partorire una stella danzante. Ritratto notturno.
Tecnica mista e simil papier colle'
40x70
2013

I biondi ricci di Veronica: Veronica Latini

Veronica Latini
Parcheggio e do un'ultima occhiata al cellulare. Rispondo ai messaggi, avviso il mio fidanzato che sono arrivata sana e salva alla meta, e faccio per riporre il cellulare in borsa e scendere dalla macchina. Con la coda dell'occhio vedo una ragazza dai ricci biondi. Indossa un delizioso cappottino grigio, e porta degli occhiali da sole che le proteggono lo sguardo. Deve essere Veronica, la mia prossima intervista. Conosco Veronica indirettamente, attraverso una porzione di poesia che avevo letto a commento di una foto di Valentina Ferrara, ed ho voluto saperne di più. Mi avvicino al bar, ed ho la conferma che la ragazza riccia e bionda di prima è proprio Veronica dal sorriso caloroso con il quale mi accoglie. Ci accomodiamo, ed una volta stabilito cosa consumare è lei a rivolgermi la prima domanda.
"Posso chiederti una cosa? L'intervista come si svolgerà? "
"E' semplice"- le rispondo " ti farò qualche domanda che mi sono preparata giusto per tenere le fila della conversazione, ma tendenzialmente sarà una chiacchierata informale per capire qualcosa di più di te. Le domande le preparo giusto perché, come spesso capitava a scuola, quando il professore ti faceva la fatidica domanda 'parlami di un argomento a piacere', pur volendoti agevolare in realtà, spesso e volentieri, ti metteva ancor di più in crisi."
"Lo so bene, sono stata una docente anche io!"
Scopro così che Veronica insegnava scienze naturali e chimica alle scuole superiori.
"Ero la classica professoressa di scienze" - mi racconta "alle prese con un programma rigido da seguire, presidi alle calcagna e alunni nel pieno della crisi adolescenziale, un periodo d'inferno già di per se stesso. Non mi ero immaginata così l'ambiente della scuola, e non sono certo diventata la docente che avrei voluto essere: una guida sotto il profilo umano prima che didattico, ed anche per ciò che riguarda la didattica immaginavo di poter trasmettere la passione e la curiosità per le scienze, e non applicare una didattica meramente nozionistica. Non mi sentivo appagata dal mio lavoro, ed ho mollato."
Ho davanti a me una donna energica, dagli occhi brillanti: uno sguardo che trasuda consapevolezza, gli occhi di una donna che ha alle spalle un lungo cammino ed una strada ben delineata da seguire.
"Sono nata in una famiglia di artisti si può dire. Mio padre faceva il giornalista, mia madre cantava, e mio fratello è un attore coi fiocchi"
"Possiamo dire allora che la pecora nera della famiglia sei tu!"
"Da un certo punto di vista si, ma i miei mi hanno sempre appoggiata e supportata nelle mie scelte, complimentandosi per il percorso che avevo deciso di intraprendere. Nonostante fossi circondata da artisti sentivo di dovermi dedicare alle scienze. Mi sono laureata in biologia, lavorando prima come ricercatrice, poi come docente, di seguito ho preso la seconda laurea in psicologia, collaborando poi con l'università"
Scopro con piacere che Veronica lavora fianco a fianco con la professoressa Marini, docente con la quale ho sostenuto più di un esame, nello specifico ecologia umana e neuroscienze, esame quest'ultimo che mi è rimasto nel cuore e che ancora ricordo con piacere ed affetto.
"Mi è capitato di assistere a degli esami sostenuti da studenti di filosofia e, devo dire, hanno una marcia in più. Posseggono una proprietà di linguaggio ed una visione d'insieme che lasciano davvero colpito chi li ascolta"
Nemmeno a dirlo, l'osservazione mi riempie d'orgoglio.
"Quindi, ricapitolando, il tuo è un percorso professionale legato essenzialmente al mondo scientifico: quand'è invece che incontri la poesia?"
"La poesia è una mia vecchia conoscente. Quando ero ragazza amavo molto leggerla, ma raramente scrivevo. Era una passione che avevo in comune con mio fratello. Amavo molto le poetesse russe ed i  poeti sudamericani e spagnoli, e su questi ultimi in particolare ci scambiavamo opinioni e sensazioni a riguardo. Lui di questa passione ne ha fatto una professione, ed oggi legge ed interpreta poesie e si dedica al teatro, recitando con una voce straordinaria.
I miei scritti più poetici li ho ritrovati nelle lettere che scrissi al mio ex marito quando eravamo appena fidanzati. Certi passaggi hanno stupito anche me perché, rileggendoli, mi sono resa conto di aver colto perfettamente il momento, le emozioni provate in quell'istante, e mi sono stupita io stessa di questa capacità che avevo dimenticato d'avere!



Veronica Latini
Ho poi, per moltissimi anni, accantonato, in parte volutamente, questo mio lato poetico, il più genuino in fondo. Mio marito, non possedendo affatto una vena artistica e creativa, non capiva questa mia esigenza, che fondamentalmente coincide con la mia essenza, e perché tutto funzionasse come doveva ho messo in cantina la poesia, dimenticando chi sono. Sono stati anni nei quali sono stata felice, ho avuto due figli magnifici, ma avevo perso il contatto con me stessa, e ad un tratto non sapevo più chi ero: ero stata plasmata ad immagine e somiglianza della Veronica che volevano io fossi. Un percorso tortuoso, zeppo di ostacoli e fatica mi ha portata a lasciare mio marito, dedicarmi alla psicologia per capirmi meglio, osservandomi da più vicino ed occupandomi della scoperta di me stessa, un percorso in itinere per il quale sono ancora ben lontana dalla conclusione, ma pur sempre a buon punto! Ho ricominciato così anche a scrivere poesie, tentando di afferrare emozioni e sensazioni che mi attraversano in un preciso momento della mia vita.
Spesso sono poesie scritte di getto, per rabbia, frustrazione, o comunque per fermare un sentimento forte che intendo riportare sulla carta, per poi rileggerlo, analizzarlo e studiarlo come fosse una biopsia, un pezzetto di me stessa che devo congelare così com'è per affrontarlo analiticamente in seguito, quando il sentimento svanisce."
"Possiamo perciò parlare di poesia terapeutica?"
"Senza ombra di dubbio. Riprendere la poesia ha significato per me aver letteralmente ripreso una parte di me stessa che avevo lasciato (e non è un caso) prima del mio matrimonio. Sono ripartita esattamente da li, da questa mia inclinazione artistica che porto avanti in primis per me stessa, ed in seconda battuta per coloro che riescono a comunicare con me attraverso l'ermetismo del messaggio poetico. Riparto da dove avevo interrotto, riprendo dall'amore che, se prima era rivolto ed incanalato nei confronti di mio marito, ora rivolgo a me stessa, prendendomi cura di me senza dimenticare l'amore materno per i miei figli e quello sentimentale nei confronti di un eventuale futuro compagno di vita. Non ho affatto escluso la possibilità di un nuovo amore, ma al momento l'amore di cui necessito  non è per forza di cosa canalizzato verso una persona: l'amore è dentro di me!"
"Vorrei chiederti di analizzare insieme a me degli estratti da alcune delle tue poesie. Nella poesia intitolata 'Attese' leggiamo:

E cosi decise che avrebbe rinunciato
guardarsi dentro, sentire
Avrebbe vissuto in superficie senza sorridere
o versare lacrime
Avrebbe vissuto senza vedere
Che grande rappresentazione
che grande repertorio
ogni presenza uno spettacolo
ogni sguardo una finzione
Senza attese, senza ricerche
passioni inutili
Perché la vita può essere così
ed è arte
creazione di bugie
codarda
senza uscite
senza porte
rifiutando di scavare dentro il barattolo del miele
passando il dito sul bordo dell'anima
come passeggiare su una spiaggia senza mare
senza tramonti da osservare
ne aurore da annusare
Ed ogni tristezza ed lacrima ed ogni gioia
sarebbe stata come una mano che tirandoti il volto
ti costringe, ti giustifica, ti assolve
una smorfia senza senso
un respiro senz'aria
Camminare senza passi ha il sapore
del non cercare niente e ritrovare tutto.
Mentre te stessa ti siede affianco


Nel passaggio in cui tu parli di arte come 'creazione di bugie, codarda' a cosa ti riferisci?"
"A proposito di questa poesia c'è da fare una premessa. L'avevo scritta in un momento di rabbia, nel quale mi sentivo incompresa, frustrata. Sentivo di stare dando tanto a coloro che mi circondavano, ma in cambio ricevevo solamente superficialità e rapporti umani di circostanza. Al che mi sono detta 'sai che c'è? Volete superficialità? Avrete superficialità! Io sono molto più di così, ma se voi volete la superficie, quello avrete'. Perché spesso e volentieri mi ritrovo con persone che, a scavare un po' più a fondo in loro stessi entrano in panico, si sentono a disagio, hanno paura di perdere la bussola: allora ritengono i miei discorsi pesanti, e li evitano come la peste. Altrettanto spesso per fortuna invece trovo delle persone che, pur vivendo in superficie, custodiscono in se un lato più profondo che, trovata la chiave di volta, portano volentieri a galla. E' per questo che concedo sempre una chance a tutti, anche a coloro che al primo impatto non mi convincono particolarmente. Detto ciò per 'arte' intendevo 'artefatto', qualcosa di posticcio, qualcosa di diverso da ciò che realmente sono. "
"Un'altra delle tue poesie che mi ha particolarmente colpita è 'La notte grida':

Le porte spalancate
Le scale, il mio respiro,
quanti scalini hanno
quanto fiato ho
Voi senza volto
il suo corpo, il pavimento
loro ti scuotono
Lui cammina, gira a vuoto
pensa, ancora
pensa, per quanto
pensa non andartene
Io stringo parole nelle mani
penso immediato
il suo corpo disteso
nudo, vuoto, immobile
Copritela! Ridatemela!
Ridatela a lui che china la testa
ridatela a lei che prega
La stanza è piena di amori diversi
la casa impregnata di lei
ognuno ha il suo dolore
ognuno pesa il suo terrore
tranne me
io sono vuota come lei
nuda, sul pavimento



Mi ha commossa moltissimo, ed è evidente che nasce da un tragico evento."

"Si questa poesia l'ho scritta per mettere nero su bianco tutto ciò che è accaduto la notte in cui mia madre ha perso conoscenza, rimanendo in coma per mesi. Quella notte ero a casa con i miei figli, e nel cuore della notte ricevetti una chiamata. Era mio padre che, con urla concitate, mi pregava di correre a casa: mamma era svenuta. Mio padre generalmente è una persona piuttosto pacata, e se era entrato in quel vortice di panico era evidente che ne avesse ben donde. Corsi più in fretta che potei, insieme a mio marito, a casa dei miei genitori e la scena che mi si presentò davanti fu tragica. Mio padre al capezzale di mia madre, stesa a terra esanime: lui piangeva ed urlava. I primi soccorsi erano già arrivati, e le condizioni sono apparse ai soccorritori da subito disperate. Tutti attorno a me piangevano ed urlavano 'è morta! è morta!'. Ed io? Io ero rigida, non davo segni di nessun genere, ero fredda e distaccata, come impietrita. Questa reazione incomprensibile mi ha sconvolta, ed aver messo nero su bianco in questa poesia quella tragica notte mi sta aiutando a capire cosa sia successo. Miracolosamente mia madre è tornata alla vita. Ci sono voluti mesi di attesa, ma lei è tornata. Andavo a trovarla nella clinica dov'era ricoverata, e i suoi occhi erano da mesi vitrei, vuoti: dietro di essi era evidente che non ci fosse più una coscienza. Un bel giorno andai a trovarla, e lei mi guardò. I suoi occhi mi apparvero subito vivi, presenti, e capii immediatamente che lei era tornata da noi. Ha fatto un percorso riabilitativo estenuante, e tutti noi con lei, ed ora, al di la di qualche vuoto di memoria, è presente a se stessa e lucida."

"L'ultima poesia che vorrei analizzare con te è 'La mia poesia':



La mia poesia è un banale tentativo

Un acciacco contorto di passioni

Inesprimibile spremuta di vissuti e memorie.

Desiderio d'essere e apparire

Scritti buttati e compiaciuti

Maldestri, copiati, forzati.

La mia poesia è spenta e impacchettata

Nascosta e mai vissuta

parole al vento come inutili pulsioni

Poesia vigliacca e codarda

scritta e cancellata, pensata e rimossa

Fiammella di un fuoco mai divampato

Aborto di passioni grigie

La poesia è grido inascoltato

Messaggio calpestato

Incompresa figura

Viaggio mai iniziato

Eppure indispensabilmente mia
 

Questa è di gran lunga, fra le poesie che mi hai concesso di visionare, la più bella, o per meglio dire la mia preferita. La considero come il manifesto di questo mio progetto: ne hai riassunto in maniera efficacissima il significato!"
"E' esattamente lo specchio del mio rapporto con la produzione artistica. Ho una relazione fatta di amore-odio con le mie poesie. Essendo ispirate da sentimenti forti e dall'umore del momento, è facile che appena pochi minuti dopo tale umore sia mutato di parecchio, vuoi perché scrivendo riesco a sfogarmi, e vuoi perché l'intensità di un'emozione tende naturalmente a scemare e modificarsi. Solo pochi minuti dopo l'istinto è quello del rifiuto: puntualmente vorrei strappare il foglio sul quale ho scritto, cancellarlo. Celo le mie poesie ai più, concedendomi di sottoporle a pochi. Ho anche pensato di scrivere sotto pseudonimo, ma poi ho abbandonato l'idea. Ho bisogno di feedback su ciò che scrivo, è importante quanto la scrittura stessa. Ma tanta della mia produzione è ancora nei cassetti. La tengo per me stessa, ed in questo senso la mia poesia è 'vigliacca e codarda'. Ma oggi più che mai, alla luce del mio percorso di vita, scrivere mi è diventato indispensabile, di vitale importanza.
Una finestra sull'abisso che sono."

Marta Banditelli






domenica 15 marzo 2015

Safari street art

È domenica mattina, giornata magnifica per un safari. Il territorio di caccia si estende per tutta Cagliari, e con il cellulare carico nella borsetta esco a catturare le mie prede. Giro per le strade con occhi attenti e vigili, ma da brava cacciatrice ho già individuato qualche tana. La prima si trova in via San Paolo, lo so per certo. Avevo individuato il magnifico esemplare per caso, durante un giro di lavoro.
Sulla strada però, in via Sant'Avendrace il mio sguardo si ferma ad osservare l'immagine pallida e sognante di una luna, o forse un viso di donna. Accosto, mi apposto e scatto: la prima preda è nel sacco! Proseguo sulla strada della vittima prescelta, incrocio la chiasso domenica dei mercatini, le bancarelle improvvisate, oggetti appartenuti a qualcuno, imprigionati per anni in umide cantine e finalmente liberati. Oggetti, dipinti, libri: storie sommerse e dimenticate, forse per sempre. Ecco dove andrò domenica prossima!
Tornando alla mia caccia, dopo un percorso accidentato fatto di ogni sorta di oggetto in vendita, imbocco la curva di via San Paolo, ed al termine di essa mi ritrovo davanti ad uno spettacolo commovente.
Mi si para davanti agli occhi l'immagine di una donna islamica, con capo, viso (le si intravedono solo gli occhi) e corpo coperti, che abbraccia come a proteggerla una ragazza completamente nuda, con gli occhi smarriti ed ingenui ed i capelli sciolti sulle spalle. La donna islamica ha uno sguardo severo che punta verso lo spettatore, quasi volesse dire:" Ma non ti vergogni ad approfittare di lei?". Sono commossa, e riflettere sulla condizione della donna l'occidente "libero" viene da se. Credo, anzi, sono certa di essere davanti all'era di street art più significativa che abbia mai visto.
Soddisfatta proseguo il mio safari a Cagliari, mi rimetto in macchina e percorro via Po. Sulla destra scorgo con la coda dell'occhio l'immagine dietro dei cassonetti. Accosto, mi infilo fra un bidone e l'altro e scatto.
 

 

 Decido di andare verso il centro, e nel percorso, passando per via Mameli, mi imbatto in alcuni inaspettati e nascosti angoli colorati della città.


 Arrivo all'altezza dei giardini pubblici, e imbocco la strada che mi porterà poi verso via La Marmora, dove comincia la mia avventura in una giungla colorata e ricca di sorprese.
Parcheggio, e passeggio con il naso all'aria con il sole sul viso. Una scimmietta dall'alto sembra troppo occupata con il suo i-phone per darmi il benvenuto, così proseguo e la lascio sola con i suoi impegni.
Una vetrina colorata mi richiama a se, e la frase che vedo scritta su un biglietto all'ingresso mi fa pensare a quanta verità e saggezza può restare confinata in poche righe scritte con una biro su un pezzetto di carta. Sono davanti all'ingresso dello studio del maestro Piero Ligas, che, durante una notte d'estate, in occasione di una rassegna d'arte durante la quale gli studi dei pittori rimasero aperti al pubblico, ebbi il piacere di conoscere.
 
La caccia è aperta, ed io sono curiosa di scoprire questi posti che raramente riesco a frequentare. Faccio per girare l'angolo, e sulla destra scorgo la sede del liceo artistico: ottimo segno. Entro in via San Giuseppe, che da sola merita tutto il viaggio. Ci sono pesci con dedica, "A Carlo", poesie affisse sul muro, un battipanni decorato, piante che abitano la strada sopportando pazientemente la presenza umana, e la sede del laboratorio fotografico "S'umbra". Uno strano personaggio col cappello mi augura "buon duemila e credici". Lo ringrazio, saluto e me ne vado.




















 
Un piatto di pasta impresso sul muro mi ricorda che è quasi ora di pranzo. Sarà meglio che torni verso casa. Torno alla macchina e percorro via Università, ma continuo con la coda dell'occhio a guardarmi intorno. Ora la preda, l'arte nascosta sui muri della mia città, da preda è diventata predatrice: mi segue, mi bracca, devo accostare la macchina.
Entrando in via Spano mi capita di notare due di queste opere. Il tempo ed i fenomeni atmosferici ce le stanno portando via, e non posso fare a meno di pensare che questa, più di altre, è una forma d'arte destinata rapidamente a deperire se non salvaguardata e manutenuta. Poi mi viene in mente che "ufficialmente dicesi vandalismo". Mi rimetto in macchina. 
 
Arrivo sino alla via che costeggia il magistero, e la mia preda mi sta ancora alle calcagna.

Supero via La Vega, poi via san Vincenzo, e lei è ancora li che mi fissa. Mi fermo dove posso, cerco dei punti dove possa accostare senza farmi uccidere e scatto.


Riprendo la corsa, vado sempre più veloce,  la vedo in via Cornalias. Mi fermo per un'ultima volta.



Imbocco la rotonda, entro in via Giotto: forse l'ho semitata!